Mi trovo sul passaggio chiave di un meandro davvero stretto: io ci passo, so come mettermi, ma il sacco no. Lo giro, lo tiro, gli do dei calci, ma niente da fare, è troppo largo. Non resta che ‘smontarlo’, tirar fuori il trapano, rifarsi il meandro avanti e indietro e riprovare. Non è molto più facile, ma dopo vari energici strattoni riesco finalmente a farlo sgusciare oltre. Che parto! Ora tocca agli altri due, però. Anche Luca e Roli hanno sacchi che non collaborano, ma con astuzia e un buon gioco di squadra passano anche loro. Bene, siamo a -700, passata la prima strettoia; ce ne aspettano altre, non ricordo quante, ma si può fare. Non importa quanto tempo ci metteremo, ma in qualche modo ne verremo fuori!
L’idea di scendere quaggiù mi era venuta qualche mese fa, durante la traversata dal BC-4 alla Mala Boka, quando Rok mi indicò un ramo laterale solo parzialmente esplorato, che non suscitava più l’interesse degli scopritori. Come lasciarsi sfuggire l’occasione di organizzare un’esplorazione a -900?! Quindi cerco dei compagni motivati e affidabili con cui mettere insieme l’impresa. Il primo a venirmi in mente è Luca, già compagno di numerose (dis)avventure: non ci vuole molto a convincerlo! L’altro è Roli, il simpatico olandese di Bovec sempre entusiasta di venire in grotta con noi. Formata la squadra, non resta che aspettare la congiunzione astrale per cui la neve sia accettabilmente sicura, la meteo sia clemente e noi siamo tutti e tre liberi. Passano settimane, mesi, ma finalmente è deciso: martedì si va!
Il piano è di salire all’ingresso ed entrare in mattinata, scendere in quattro o cinque ore al campo di ‘BC Beach’, tempo di farsi un tè e proseguire in zona esplorazioni. L’obiettivo è superare un lago, che era stato l’ostacolo principale per i precedenti esploratori, rilevare tutto il ramo laterale e tornare al campo comodamente entro le 22:00. Il giorno seguente, dopo una bella dormita, saremmo potuti risalire in modo da esser fuori nel pomeriggio. Però non avevo fatto I conti con i sacchi enormi che avevo scelto di portare: il canotto, abbondante materiale da armo e corde in eccesso occupano buona parte dello spazio e del peso a disposizione. Durante l’avvicinamento ci rassegnamo a fare gli sherpa, confidando che una volta dentro le cose saranno più semplici. Nulla di più falso! Devo ammettere che non mi ricordavo i meandri iniziali così lunghi e stretti. Ore e ore per arrivare a -300, poi finalmente diventa più semplice: un pozzo da 80, un altro da 50, uno da 230 metri ci fanno perder quota rapidamente, ma resta sempre un dubbio per ‘Nutella killer’: l’infame strettoia a -700 che ci potrebbe dare non poco filo da torcere. Infatti, già in discesa siamo costretti a smontar sacchi per farli passare, ma fatto questo siamo praticamente arrivati al campo.
Son già le otto: tre ore di ritardo. L’esplorazione è meglio farla stasera – concordo con Luca – ma vediamo di esser di ritorno al più tardi a mezzanotte. Un paio di gallerie ci conducono rapidamente al bivio, dove comincia il ramo nuovo, già battezzato dagli sloveni ‘Rov božjega kamina’. Questo intercetta un piccolo corso d’acqua, che si può seguire in entrambe le direzioni. Scegliamo prima di risalirlo controcorrente, infilandoci in un piccolo meandro che porta alla base di un pozzetto con un bel giro d’aria. “Cosa facciamo – domando a Luca – attrezziamo la risalita o andiamo verso il lago?”
Visto che il tempo stringe e la nostra missione è superare il lago, che Rok mi aveva promesso: “Sicuramente va avanti”, lasciamo questa zona promettente per un’altra volta e facciamo dietrofront.
Seguendo il ruscello in discesa c’è molta più strada da fare. Vari meandri, attivi e non, e un paio di pozzetti ci fanno finire in una bellissima sala allagata con una cascata proprio al centro: certamente la parte più suggestiva finora. Per proseguire si tratta di camminare agevolmente sulle sponde, con l’unica accortezza di non scivolare nelle pozze di acqua gelida. Ormai deve mancare poco; infatti ben presto ci troviamo la strada sbarrata da un laghetto. Sarà questo il famoso ‘grande lago’ che stiamo cercando? Non può essere altrimenti, la descrizione combacia e la via da seguire era una sola. Scrutiamo attentamente il fondale, che scompare pian piano nell’acqua verde e limpidissima.
– A me pare un sifone – commenta Luca, rubandomi le parole di bocca. Effettivamente ha proprio l’aria di essere l’arrivo per noi speleo senza bombole; però dobbiamo esserne sicuri, magari dietro l’angolo… “L’abbiamo portato fin quaggiù: è un peccato non usarlo – dico, mentre tiro fuori Liubert, il nostro fedele canotto, così battezzato durante le nostre prime esperienze in grotte acquatiche. Con estrema cautela ci salgo sopra e mi spingo in centro al laghetto, da dove sono costretto, ahimè, a confermare quel che avevamo supposto: sifona impietosamente.
In ogni caso resta ancora un bel po’ di lavoro: dobbiamo rilevare l’intero ramo. La teoria è chiara ma, essendo il primo rilievo che eseguiamo, il tutto procede un po’ a rilento, e certo gli ambienti tanto angusti non si prestano volentieri a tale operazione. In ogni caso riusciamo a tornare entro un’ora decente alla base, dove Roli ci sta aspettando per lo spuntino di mezzanotte.
Una volta dentro al sacco a pelo, nel dormiveglia sono assillato da vari dubbi: Saremo in grado di risalire in superficie domani… o dopodomani? Quanto ci vorrà? Abbiamo abbastanza cibo? E se aumenta lo stillicidio sul pozzone? Ci bagneremo? Moriremo di freddo? Forse ho organizzato una spedizione al di là delle nostre capacità? Più rimugino, più ingigantisco i problemi: non è tanto la profondità in sè che mi pesa, però percepisco quanto è lontana l’uscita e quanti ostacoli dovremo superare per raggiungerla. Non resta che dormire e lasciare le preoccupazioni a domani.
Gli orologi mostrano che è mattina; raccattiamo solo l’indispensabile nella speranza di aver sacchi leggeri. Roli ci rallegra suonando l’armonica prima di cominciare la risalita. Ancora assonnati, le prime pompate sono la parte peggiore; guai guardarsi indietro, e ancor peggio pensare quanto manca alla fine: l’unica è prendersela a tappe e con le giuste pause.
E così eccoci qua, al primo ‘checkpoint’, ovvero dopo la fessura più cattiva di tutte, a rallegrarci con un tè per il primo, piccolo successo. Sarà pure nulla rispetto a quel che ci toccherà più in alto, ma ci ridà uno slancio di motivazione utile per proseguire. Cosa ci aspetta adesso? Bei pozzi larghi: facile! Infatti guadagniamo centinaia di metri a un buon ritmo, contando anche le fermate per risistemare alcuni armi. Ben presto, però, si torna a lottare con passaggi impestati, che consumano non solo energie, ma anche la nostra pazienza. In ogni caso, per ora di cena siamo a -160, il che vuol dire, secondo i calcoli, fuori per mezzanotte. Ed è proprio così: uno alla volta sbuchiamo nella notte, confortati dalla vista delle luci del paese in fondovalle. Finalmente abbiamo di nuovo il cielo sopra la testa; sarebbe romantico dire che è pure stellato, ma non si può avere tutto: piuttosto ringraziamo che non c’è la bufera e corriamo giù all’auto, dove ci aspettano tutte le comodità della civiltà moderna.
– Chissà quante cose impareremo dai nostri errori durante questa esperienza – si chiedeva Luca ieri mattina, nel viaggio di andata in macchina; e io, ridendo:
– Speriamo poche! – contando di aver già calcolato ogni evenienza. E invece ne abbiamo imparate di cose, eccome se ne abbiamo fatti di sbagli, ma insieme siamo sempre riusciti ad improvvisare la soluzione, portando a termine la nostra piccola missione come una squadra. Grazie Luca, grazie Roli: ce l’abbiamo fatta!
Alberto Dal Maso (Kraft)
25-26 febbraio 2014