Corso aggiornamento istruttori in Spluga della Preta.
Continua l’attività “fuori porta” dei soci del gruppo grotte della xxx ottobre. Tra i giorni 24-28 settembre tre istruttori del GG AXXXO (Fabrizio Viezzoli, Francesco Agostini e Marco di Gaetano quest’ultimo aggregato alla Trenta ma socio della “Commissione Grotte E. Boegan”) hanno affrontato e disceso una delle cavità più affascinanti e famose del territorio italiano: la Spluga della Preta. Il gruppo era formato anche da altri cinque istruttori della Scuola Nazionale di Speleologia provenienti dalle zone di Padova, Pisa e Forlì (INS Giovanni Ferrarese e IS Cristiano Zoppello da Padova; IS Bucarelli Giovanni – e IS Vacca Pascal da Pisa; IS Rossi Giovanni da Forlì) e l’iniziativa faceva parte dell’annuale corso di Aggiornamento Tecnico per Istruttori.
La Spluga della Preta è situata poco distante da Verona nel bel mezzo dei monti Lessini ed è stata oggetto di interesse fin dal lontano 1926 con le innumerevoli esplorazioni che hanno creato attorno a questo sottile reticolo di aria e acqua all’interno della montagna una sorta di misticismo: ciò ha reso questa grotta, se non la più fonda, sicuramente la più famosa… che in molti continuano a percorrere solo per il vanto di averla fatta.
Scendere nella Spluga della Preta è affascinante e sicuramente non facile: singolare, è infatti la morfologia del suo imbocco: nel bel mezzo degli ameni prati del Corno d’Aquilio si apre un’impressionante bocca che comunica con il famoso pozzo De Battisti, un “tiro” unico in libera da 131 metri. Inizia in modo inaspettato ed eccitante, e va giù fino a –350 in un battibaleno; qui inizia la parte attiva (con acqua) con le mitiche, interminabili e strette “fessure”. Da – 750, dopo l’ultimo pozzo da 36 m ed abbandonata l’acqua, si scopre la grotta nella grotta, un reticolo di antichissime e finalmente asciutte gallerie che ti conducono per mano fino al fondo attuale. Questo tocca quasi quota -900 m e pone la Spluga della Preta tra i grandi abissi, non tanto per profondità ma per livello tecnico. I meandri della Preta sono stati in passato, ma lo sono ancora oggi, un vero incubo per gli esploratori. Tempi addietro, infatti, durante la storia esplorativa di tale cavità, i materiali e i sacchi raggiungevano volumi e pesi molto maggiori degli attuali. L’esplorazione di tale abisso è iniziata ottant’anni fa quando dei coraggiosi pionieri, con in testa l’ingegner Luigi De Battisti, hanno sondato, con sistemi a dir poco rudimentali, il famoso “131”. La scoperta del successivo imponente pozzo ha posto le condizioni per
organizzare una spedizione in grande stile al termine della quale la grotta è stata dichiarata (con qualche “fufignezzo”, forse più giornalistico che speleologico) come la più profonda al mondo e battezzata “Abisso Mussolini”. A ciò hanno fatto seguito tra gli anni cinquanta e sessanta, altre esplorazioni, alcune delle quali accompagnate da un grosso risalto mediatico, che hanno coinvolto anche alcuni speleo del gruppo grotte della XXX Ottobre, Cesare Prez in testa. In tale contesto due sono gli episodi che hanno contraddistinto l’epopea e la storia della cavità. Il primo è la mitica spedizione delle “tute stracciate” del ’63, che, in antitesi con le superspedizioni degli anni precedenti, partiva con obiettivi modesti ma … centrava l’obiettivo! Dopo 9 giorni di permanenza in grotta e disumane fatiche per trasportare quintali di materiale, fu raggiunto il fondo: la Sala Nera ad una profondità di 800m. Ripercorrendo la grotta e tastandone con mano le caratteristiche non si può che avere una grandiosa ammirazione per quegli uomini; veramente encomiabile lo spirito, il coraggio, l’entusiasmo e la peseveranza di Pasini, Ribaldone, Pavanello, Canducci, DiMaio, Badini e Carrara in testa a tutti. Per capire il valore della spedizione bisogna per forza scendere la!!!! La seconda fase storica della Preta è la mega operazione dell’ O.C.A … l’operazione Corno d’Aquilio. Anni e anni di esplorazioni in una grotta così severa avevano, infatti, portato all’accumulo in tutto l’abisso di una quantità inimmaginabile di rifiuti. Uno degli autori ben ricorda nella sua prima visita del 1987 corde, scale, attrezzature e materiali di ogni genere nonché i rifiuti presenti in ogni anfratto. Una su tutte: “sala Paradiso” a -380 il cui pavimento venne ritrovato in seguito più … basso di 1 metro!!!! Tale operazione, a cui hanno aderito (finora unica esperienza) in Italia decine di gruppi speleo e centinaia di speleologi ha portato al risultato di 810 sacchi per un totale di 3.835 kg di rifiuti e 15.544 ore di permanenza in grotta equivalenti a 1.930 giornate lavorative. Grazie a quest’opera è oggi possibile ripercorrere la Spluga della Preta in così come era apparsa ai primi esploratori. Un doveroso grazie va, dunque, a Giuseppe Troncon di Modena, vera anima dell’iniziativa.
Come forse si potrà intuire, la caratteristica più bella della Preta è di essere sempre in prima fila nella speleologia italiana: quando ti sembra che sia tutto finito nuove esplorazioni riaprono i giochi e lei è di nuovo li, pronta a sogghignare aprendosi in nuovi tratti. L’epopea che ha contraddistinto tale cavità è ben descritta nel film (e nel libro)
intitolato L’Abisso, dell’amico Francesco Sauro e presentato alcuni anni fa al film festival di Trento. Tale prodotto cinematografico dimostra come gli studi e le esplorazioni della Spluga non siano finiti: oltre alle nuove interessantissime zone scoperte dopo il secondo pozzo si cerca, infatti, da anni l’ingresso (o forse per meglio dire, l’uscita) in Val d’Adige. Per ora, gli unici a conoscere l’ubicazione di questo accesso sembrano essere i pipistrelli che abitano le regioni più fonde della grotta, ma in futuro, staremo a vedere…
L’idea di “fare la Preta” è nata circa due anni fa nella mente di uno di noi che a varie riprese aveva già disceso l’abisso senza mai però raggiungerne il fondo. Inoltre bisognava tenere compagnia a Rino Ricatti finora unico socio della XXX che nel 75 aveva raggiunto la sala nera. Poi a inizio anno, dal Cai di Padova, è giunta l’occasione: un corso di aggiornamento con tanto di campo interno. Parte la proposta e in un battibaleno dal gruppo arrivano le adesioni… due!!!! Della serie, pochi ma buoni!!! Due mesetti di allenamenti in Carso tanto per non arrivare la troppo rammolliti e via.
Giunti in zona e sbrigati i preparativi nella serata di mercoledì il gruppo, ha agganciato i discensori alle cinque del pomeriggio per raggiungere dopo quasi 13 ore di progressione, il campo interno (quota -700) allestito nei rami denominati del Vecchio Trippa. Nel percorso il Franz raggrannellava metro dopo metro un nuovo personale record di profondità e permanenza in grotta, il buon Linus con due sacchi incastrati in meandro “non finirà mai di ringraziare…are…are…” il “dotor” che a 17 anni di distanza dall’ultima esplorazione si chiedeva invano chi glielo aveva fatto fare: bel quadretto no? A rincarar la dose delle difficoltà già sufficienti per i nostri dannati degli abissi è giunto l’intervento degli echi sotterranei. Nel meandro da 90 metri (soprannominato “The Big One”) c’è una sorta di incrocio a T. Durante la progressione, misteriosamente è venuto fuori che bisognava andare a sinistra. Metro dopo metro la progressione diventa sempre più difficile, quasi impossibile. “Me sa che gavemo cappellà”, dice qualcuno. “Orca ma no i
podeva spetar”, dice un altro un po’ alterato. “Non facciamo dietrologia” sentenzia un terzo. Morale della favola: il meandro da novanta è diventato da centoventi. Eh ci voleva proprio… Dopo alcune ore di meritato riposo a “L’hotel Vecchio Trippa” a -700, in quella che per noi era mattina ma che in realtà era pomeriggio inoltrato (meno male che c’erano gli orologi), si è cominciata la discesa verso la Sala Nera. Nel corso della progressione sono stati risistemati numerosi armi ormai obsoleti e sono stai posti in sicurezza alcuni tratti della cavità. Parecchie ore di fatica ed attesa (sgradevole vista la temperatura e l’acqua che scorreva copiosa) hanno separato tutto il gruppo dal raggiungere la mitica Sala Nera, compreso lo sbadato (Franz) che dimenticava la macchina fotografica a un paio di pozzi di distanza. Vedere in questa famosa cavernetta, le scritte lasciate dai primi esploratori nonchè gagliardetti e gadget vari delle varie ripetizioni è stata un’emozione non da poco che difficilmente verrà dimenticata. E’ stato il coronamento di un abisso che a livello emotivo riesce a lasciare il segno come nessun altro. Abbandonato il fondo (la nostra vetta), è iniziata la risalita verso il campo dove un sacco a pelo asciutto e un pasto scalda-budella hanno rinfrancato l’animo. Al risveglio, non prima di aver un po’ indugiato in relax in mezzo agli umidi agi de “L’hotel Vecchio Trippa”, è ricominciata la progressione verso la superficie, più agile grazie al sacco alleggerito dei viveri. Pozzo, meandro, “Fabriii… no finirò mai de ringraziarteee!!!!”, pozzo, fessura, pozzo… abbiamo riguadagnato l’uscita, ciascuno avvolto nei propri pensieri, non senza ricordare per l’ennesima volta i primi esploratori, che hanno scritto la storia di questa grotta con la loro attrezzatura “primitiva”: incredibili, veramente dei grandi!!!!
Ancora per una volta nel bel mezzo della notte, tutto il gruppo ha rimesso piede sulla morbida erba dei prati del Corno d’Aquilio per raggiungere la malga Preta, sita a pochi metri di distanza. Tolte le tute fradice e rifocillati da una cena ristoratrice (finalmente seduti su una panca di legno) ed un paio di birre in compagnia, tutti restano ammaliati dalla voce suadente della branda che chiama… Che stanchezza! Gli occhi si chiudono ed ancora scorrono nella mente i momenti vissuti assieme: sofferenze fisiche e vignette comiche cucite assieme con il risultato di creare nuove amicizie e consolidarne altre. Condividere un’esperienza così forte, certi di poter contare sul reciproco aiuto in caso di reale necessità, ma anche solo dormire in otto sotto una tenda, stipati come sardine in scatola, aiuta a creare forti legami di amicizia. Insomma, è stata una bellissima discesa, in un luogo intriso di storia e di imprese esplorative che in passato hanno impegnato uomini e mezzi all’interno della grotta anche per due settimane consecutive. Le ottanta ore di permanenza nell’oscurità della Preta sono state, dunque, una toccata e fuga se paragonate ad esperienze pregresse, ma hanno lasciato nella memoria di tutti noi ricordi ed emozioni che rimarranno indelebili per molto, moltissimo tempo. D’altra parte, la Preta è sì profonda e selettiva, ma regala, agli speleo che si lascia scorrere all’interno, emozioni difficilmente provate in altri abissi.
Per concludere, un sentito ringraziamento va agli amici padovani Ciccio (Giovanni) e Cristiano, ideatori e ottimi organizzatori di quest’uscita nonchè a Francesco Sauro per l’appoggio fornito.
Ciao Spluga della Preta, torneremo a trovarti!!
Francesco AGOSTINI (Franz), Marco DI GAETANO (Linus), Fabrizio VIEZZOLI (“Doc”).