Molto più a nord della grotta di Vatnshellir, di cui ho raccontato nell’articolo precedente, ci sono delle grotte visitabili che nessuna guida e nessun resoconto di viaggio che avevamo consultato prima di partire consigliava particolarmente. Fortunatamente noi, siccome sono facilmente raggiungibili dalla strada principale che fa il giro dell’Islanda, ce ne siamo fregati allegramente e le abbiamo dedicato una visita, a mio parere, più che meritata. Grjotagja sarà meno appariscente e ‘cartolinoso’ di altri luoghi, ma anche un po’ meno turistico (anche se noi ci siamo beccati il pullman nipponico) e probabilmente molto più interessante, almeno per uno speleo.
Non posso garantire su come si siano formate queste piccole grotte, ma il mio fine istinto mi dice che l’immensa spaccatura che corre una decina di metri sopra i due ingressi abbia giocato un ruolo. Con la misera luce che ho a disposizione non riesco ad ‘esplorare’ bene le cavità come vorrei, anche perché il loro interno è allagato e soprattutto perché l’acqua è a circa 50 gradi. La grotta sarà lunga una cinquantina di metri e ha due ingressi, ma non è escluso che ce ne siano altri lungo la stessa spaccatura che percorre a perdita d’occhio la piatta geografia dei dintorni del lago Myvatn. L’acqua è profonda un paio di metri al massimo e scorre lentamente in direzione nord-sud. Fino all’episodio dei ‘fuochi di Krafla’, una serie di eruzioni avvenute nelle vicinanze tra il ’75 e l’84, l’acqua nelle grotte era balneabile, ma i movimenti di lava sotterranei avvenuti in seguito alle continue eruzioni le hanno rese impraticabili. Io ci ho intinto la mano e non mi sembrava più calda degli ‘hot tub’ invasi da tedeschi obesi nelle piscine termali d’Islanda, ma probabilmente è meglio che non vengano più utilizzate a questo scopo per sicurezza, igiene e spazio.
Una coppia di simpatici isalndesi in vacanza ci racconta che erano venuti lì quarant’anni prima, quando le grotte erano ancora usate per i bagni. Ci facciamo raccontare un po’ com’era organizzato e veniamo a sapere che che Grjotagja era una sorta di ‘pedocin’ termale, gli uomini utilizzavano un ingresso e le donne l’altro. Sfortunamente per le donne, gli uomini sfruttavano poco galantemente l’ingresso, e quindi la parte di grotta, situata più a monte, sporcando per bene l’acqua che poi scorreva nel lato femminile.
C’erano altre grotte che avrei visitato volentieri, Leidarendi, Gyabakkahellir, Lofthellir, Buri, scoperta nel 2005 quindi particolarmente intatta (oltre ad avere uno sviluppo ragguardevole per un ‘lava tube’) e soprattutto le grotte di ghiaccio. Un po’ stupidamente avevo sempre sottovalutato le grotte di ghiaccio per motivi che mi riesce difficile da spiegare, forse credevo non desse abbastanza gloria il visitare delle grotte così effimere. Poi un giorno, passeggiando su una propaggine del Vatnajokull, il ghiacciaio più grande d’Islanda e di tutta Europa, troviamo prima un cunicolo verticale che si mette direttamente in comunicazione con un fiume sotterraneo (o meglio subglaciale) piuttosto impetuoso, poi incontriamo, tra un crepaccio e l’altro, svariati ‘mulin’ (in Islanda usano la terminologia francese), che sono ciò che chiamiamo “inghiottitoi” quando si trovano sulla roccia, e io penso solo una cosa: “Voglio scendere lassotto”. Disgraziatamente inizio settembre non è proprio la stagione delle grotte di ghiaccio, e nessuna società organizza tours guidati a fine estate. Meno ghiacciaio, meno grotte, ghiaccio troppo instabile, che però ci regala lo spettacolo di un piccolo iceberg che si distacca dal fondo del ghiacciaio ribaltandosi nel lago di Fjallsaarlon. Godetevi le poche foto che ho fatto, perché la giornata era tipicamente islandese: cinque minuti di pioggia, cinque minuti di sole e così avanti. Ottimo per gli arcobaleni, ma io alla terza volta che ricominciava a piovere ho lasciato la macchina fotografica nello zaino, “tanto questa” – mi sono detto- “me la ricordo comunque”.
Luca Ianza