Ancora scottato dall’esperienza di poche settimane prima, l’orgoglio di Kraft ci costringe a un secondo tentativo nell’inghiottitoio. La squadra stavolta è composta, oltre che da me e dallo stesso Kraft, da Leo (anche lui partecipe alla mazzata dall’altra volta) e Federico, detto Caterpillar o Bam Bam per la sua proverbiale delicatezza. Davide stavolta è impegnato con le esercitazioni del soccorso.
Strisciamo con quanta più grazia possibile per i primi 100 metri di strettoie verticali, stavolta abbiamo un solo sacco a testa perché rinunciamo alle mute (però per sicurezza raddoppiamo la dose di bombardino, che in grotta asciuga meglio di un phon).
Scendere in un posto che si conosce già è sicuramente più facile, e Kraft arma la grotta con sicurezza, evitando di piazzare corde da 70 su pozzi da 25 e senza sbagliare strada.
L’architettura della grotta è molto lineare, dopo i cunicoli iniziali e i pozzi (pochi), comincia la parte attiva. Il torrente è modesto ma molto bello, meandri allagati, tirolesi, roccia pulitissima. Cominciamo a scattare qualche bella fotografia, io sono il baldanzoso addetto alle luci, anzi allA luce, perché il faretto da 10000 lumen di Kraft è tutto quello che ci serve. Forse in un eccesso di baldanzosità, tenendomi con una mano sulla roccia e una mano sulla tirolese, cercando di non finire col culo nel laghetto gelato, sento un rumore poco simpatico: SPLASH. Per un attimo spero irrazionalmente che sia Leo, che è subito dietro di me, ma mi arrendo presto all’evidenza: il faretto è a più di un metro sott’acqua. Le alternative non sono molte, se non fosse che a un certo punto l’acqua che sta entrando nella spartana sacca stagna fatta di nylon ed elastici da ufficio fa contatto e accende la luce. Mentre i due ingegneri e il chimico che sono con me cercano di decidere se è possibile che la batteria al litio esploda a contatto con l’acqua io, che ho studiato psicologia e non ne capisco niente, mi immergo fino alla cintola e con i piedi riesco a recuperare l’ormai inservibile impianto luce. Da qui in avanti quindi niente foto, peccato perché la parte che ci aspetta ne sarebbe valsa davvero la pena.
Procediamo stando sempre meno attenti a non bagnarci (io soprattutto, tanto ormai) alternandoci nell’aprire la strada agli altri. L’ultimo tratto tocca a me che sono il più compromesso. Con la schiena schiacciata sulla volta di quello che pare proprio un sifone e l’acqua ad altezza bidet (e non intendo che era alta quanto un bidet, ma che il torrente gelato mi stava facendo il bidet) cerco di vedere se si riesce a proseguire. Lo spazio di aria fra acqua e roccia è circa 20 centimetri e neanche troppo largo, sono tentato di dare un’occhiata perché oltre quel passaggio vedo almeno tre quattro metri di grotta. Conscio che da bidet bisogna passare a modalità vasca da bagno, comunico i miei pensieri ai miei compagni, seduti all’asciutto. La mia linea vince: di lì non si passa, almeno non oggi. Occhi al rilievo, cerchiamo di convincerci che siamo proprio arrivati al sifone finale. Effettivamente se non è quello è il prossimo, 20 metri più avanti. Metri sempre più stretti, sempre più allagati. Quindi pavido sì, ma mona no.
Ritorniamo rapidi sui nostri passi fermandoci per il classico tè e l’ancora più classico bombardino. Siamo abbastanza bagnati per meritarcelo! Per fortuna gli elastici orari del Lidl ci hanno permesso di avere con noi anche un tubetto di panna spray, che finisce prima ancora dello stesso bombardino. Caterpillar non si rassegna e pugnala il tubo ormai esausto col coltello da caccia che si porta sempre dietro perché “nonsisamai”. Riesce a recuperare qualche grammo di panna, il resto, in seguito all’esplosione del tubo sotto pressione, finisce per imbiancare la volta della galleria.
Risaliamo rapidi, i pozzi sono brevi, i passaggi noti, i passaggi allagati meno allagati di noi. “Usciremo con la luce del sole” pronostica Leo. Sì, sarebbe potuto succedere, se all’uscita della grotta non avessimo trovato l’apocalisse: lampi, tuoni, gocce di pioggia che sembrano grandine. Ci leviamo un po’ di ferraglia di dosso prima di diventare arrosto misto di speleo e cerchiamo un posto dove riempirci lo stomaco. Ecco, questa sarà la cosa più difficile di tutta la giornata, ma la spuntiamo anche lì. In definitiva possiamo dire di aver chiuso i conti con la Polne Lune, se non fosse che ci mancano solo tre pizze per averne una in omaggio alla pizzeria del paese lungo la strada, quindi chissà che non ci torniamo ancora una volta…