Questa volta non siamo in tanti che ci credono ancora, quindi partiamo soltanto in quattro per quello che dovrà essere il giro decisivo: Beccuccio, Davide, il giovanissimo Elia (alla sua prima esperienza in Canin) e il sottoscritto. Decisivo perché, se non troviamo nulla anche questa volta, dovremo dichiarare l’esplorazione finita e cominciare a pensare al disarmo.

Un forte raffreddore mi accompagna già da qualche giorno. “In grotta passa tutto – assicuro ai miei compagni tra un colpo di tosse e l’altro. Non so se crederci nemmeno io, ma son sicuro che in un modo o nell’altro riuscirò a tornar fuori. Intanto una bella dormita al Gilberti e domattina si parte presto.

Ripercorriamo per l’ennesima volta il primo pozzo ghiacciato, notando con piacere che la neve si sta sciogliendo ogni volta di più, lasciando un passaggio sempre più largo e comodo. Continuiamo la discesa fin sul fondo del P60; qui Beccuccio è costretto a fare dietrofront per un dolore ai reni: “Nulla di grave al momento, ma non vorrei rischiare una colica in grotta.” Davide esce con lui, mentre io proseguo con Elia. I nostri piani esplorativi andranno ridimensionati, poiché riusciremo a fare ben poco in due soltanto.

Arriviamo al campo in anticipo sulla tabella di marcia e riusciamo a ritagliarci un paio d’ore per una breve esplorazione. Per prima cosa voglio scendere l’ultimo pozzo attrezzato l’altra volta. Avevano detto “fessure impraticabili”: non è certo una buona notizia, ma prima di classificarle impraticabili voglio controllarle di persona queste strettoie!

In fondo al pozzetto apparentemente nulla. Poi guardo meglio, dietro qualche masso c’è un passaggio. Non molto incoraggiante, d’accordo, ma tanto vale provare. Mi infilo nella fessura, più scomoda che stretta. Un paio di metri che mi fanno sfoderare le più varie imprecazioni, poi finalmente allarga un po’. È un meandrino fossile che corre parallelo alla faglia. Lo percorro a gattoni, pregando in cuor mio che non deluda le mie rinate speranze. Ed ecco che sbuco in un pozzo! Non enorme, ma decisamente più largo del meandro. Torno indietro a chiamare Elia, che porti tutto il materiale a disposizione. “Tieni il martello e cerca di allargare più che puoi questi primi metri. Intanto io vado ad attrezzare le corde – gli dico.

Nuovamente sul bordo del salto, valuto il da farsi: il fondo di questo pozzo attivo non mi pare assai promettente, mentre un facile traverso mi condurrebbe ad una finestra che sembra la logica prosecuzione del meandro. Scelta facile: bastano pochi fix e sono dall’altro lato. Il meandro continua, più largo di prima, portandomi alla base di un altro pozzetto. Da qui intravedo una possibile prosecuzione qualche metro più in alto, ma non resta più molto tempo. Facciamo dietrofront col sorriso sulle labbra, lasciando questa nuova speranza per la prossima volta.

Alberto Dal Maso (Kraft)

24/09/2016